La Mappa Perduta
La storia di San Patrignano
In questa pagina è raccolta, suddivisa in sezioni, la storia di San Patrignano, dagli albori fino ai giorni nostri.
I dati sono stati reperiti dalle consistenti cronache giudiziarie, dall’archivio storico del Corriere della Sera, di Repubblica e di altri quotidiani e settimanali, da alcune trasmissioni televisive e da alcuni testi pubblicati in lingua italiana. Completano le fonti diversi dati di istituzioni pubbliche, soprattutto in merito ai risultati dei programmi (?) terapeutici.
Questa pagina, considerata la grande mole di dati da raccogliere e inserire è perennemente in costruzione e pertanto ti consigliamo di sottoscrivere un feed in modo da essere sempre aggiornato non appena nuovi contenuti saranno inseriti.
Il Pm Roberto Sapio, durante l'interrogatorio di Vincenzo Muccioli al processo delle catene:
E va bene con la teoria dello schiaffo come simbolo della liberazione dalla schiavitù della droga.
Ma la merda, signor Muccioli, la merda, le coperte sudicie, il freddo, le percosse,
che cosa stavano a simboleggiare?
La storia di San Patrignano
Negli anni '70 Vincenzo Muccioli lavorava come albergatore all'Hotel Stella Polare di Rimini di proprietà della moglie Antonietta, che a sua volta l'aveva ereditato dai genitori.
Per la verità Muccioli un lavoro vero e proprio non lo aveva mai avuto anche per l'agiata posizione economica che il padre, assicuratore e proprietario terriero, aveva raggiunto.
Fu forse per ingannare la noia che Vincenzo si avvicinò alle pratiche medianiche, con l'aiuto di un suo amico, Luciano Rossi.
Fu solo più tardi però, ormai quarantenne, che scoprì di possedere doti da medium e di essere in grado di captare messaggi extrasensoriali. Almeno questo è quanto andava raccontando ai babbei.
La cosa doveva essere di grande impatto emotivo (Muccioli durante le sedute andava in trance e identificandosi col Cristo predicava la comunione dei beni) perché nel giro di poco tempo quei pochi che assistevano diventarono sempre più, fino a costituirsi in un gruppo, il Cenacolo che si trasferì sulla collina benedetta di San Patrignano, di proprietà di Vincenzo, dove tutti insieme si coltivava la Vigna del Signore.
E poiché Muccioli predicava l'umiltà e la povertà i proventi di questo lavoro, rigorosamente gratuito, sarebbero stati devoluti ai bisognosi. Gli adepti del Cenacolo venivano così invitati a "privarsi dei loro beni terreni e a rinunciare alle tentazioni della carne". A lui, invece, tutto era permesso.
Per stupire gli spettatori Vincenzo si presentava con graffi sul costato e i piedi, annunciando loro di avere le stimmate.
"L'ho visto attraverso una finestra mentre si praticava dei tagli sulle mani con un trincetto per la pelle, prima di una seduta medianica" dichiarerà in tribunale Lino Grossi.
Come sempre in questi casi i più suggestionabili non riuscivano a dare a queste esperienze la giusta dimensione e finivano per cadere in uno stato di dedizione assoluta che si rifletteva negativamente persino sulla loro vita familiare.
"Sono convinta che mio marito sia stato plagiato dal Muccioli e che costui l'abbia messo contro di me" é la dichiarazione rilasciata al giudice istruttore da una donna, Maria Teresa Tusino che nel ‘78 sporse denuncia contro il marito, Giulio Canini, che l'aveva picchiata per il suo rifiuto a che il figlioletto lo seguisse in comunità.
Giulio Canini é forse il primo suicida per cause non del tutto mai chiarite e sembra lasciando un diario che non é mai stato ritrovato.
Nel frattempo la Vigna del Signore andava sempre meglio e diventava sempre più affollata anche da quei tossicodipendenti che cominciavano ad arrivare per farsi curare.
Evidentemente però, non tutti gli adepti dovevano essere così sprovveduti perché alla richiesta di due loro, Bruno Camosetti e Guerrino Pieri, di vederci chiaro sull'effettiva destinazione dei proventi della Vigna dove si allevavano anche cani, cigni e pollame, l'autorità giudiziaria arrivò a dimostrare che unici beneficiari di alcuni degli assegni rintracciati erano stati Muccioli e sua zia Serafina.
Ormai, però, l'attività principale di S. Patrignano era quella di centro d'accoglienza per i tossicodipendenti che arrivavano a supplicare assistenza e l'iniziale piccola Vigna del Signore é oggi diventata un'estensione di 220 ettari di terreno dove (secondo i numeri forniti dalla Comunità oltre 2000 tossicodipendenti e non, fatturano, con le varie attività produttive, circa 22 miliardi di lire annui: laboratori di falegnameria, la tristemente nota pellicceria, allevamenti di ogni genere (quello con i 300 purosangue da gare internazionali é considerato il migliore d'Europa, ma dei cavalli ne riparleremo) e perfino un ospedale all'avanguardia per la cura dei malati di Aids inaugurato nientepopodimeno che da tre dei ministri del governo Berlusconi (Costa, sanità; Guidi, famiglia; Biondi, giustizia).
Un vero e proprio marchio di garanzia per la struttura, peccato però che la stessa sia stata costruita in gran parte abusivamente.
Ma niente paura, non può certo una quisquilia del genere fermare il guru di S. Patrignano.
Le amicizie influenti
Il 24 settembre 1994 al Comune di Coriano, di cui San Patrignano é frazione, arrivano, presentate dal geometra della comunità, Sergio Pierini, trentuno richieste di sanatoria per abuso edilizio perpetrato, guarda un po', proprio quando del Comune era Sindaco (PCI) lo stesso Pierini.
Il perché della richiesta a che le pratiche fossero protocollate immediatamente si capirà solo quando, tre giorni più tardi, arriverà un decreto approvato dal consiglio dei ministri che conferisce agli edifici adibiti a comunità terapeutiche e a quelli per l'inserimento sociosanitario nelle stesse, la qualifica di opere pubbliche indifferibili e urgenti che pertanto sono esonerate dal pagamento degli oneri di concessione oltre alla possibilità di una loro realizzazione in deroga agli strumenti urbanistici.
In altre parole Muccioli avrebbe potuto, d'ora in poi, costruire tutto quanto voleva senza alcun permesso, risparmiare i circa quattro miliardi che avrebbe dovuto versare per il condono degli abusi già fatti e, di fatto, dunque, condonare l'intera S. Patrignano, compresa la sua villa, alla quale torneremo comunque fra poco. Muccioli, quindi, sapeva almeno tre giorni prima della sua firma, dell'esistenza del decreto legge; questo, naturalmente, nella più innocente delle ipotesi.
Ma le sue amicizie non si fermano certo a quelle politiche: Craxi, De Lorenzo, Benvenuto ma anche e soprattutto giornalisti, o meglio chi a una parte di loro dà lavoro: Letizia Moratti, presidentessa della Rai e moglie di quel Gianmarco Moratti, petroliere, assieme al quale trascorre i suoi fine settimana proprio nella comunità in una villa accanto a quella del guru.
E questo spiega il perché di tutta la piaggeria che la televisione di Stato (!) ci ha vomitato addosso ogni qualvolta si é toccato il tasto di Muccioli.
La villa da Mille e una Notte
"Una villa principesca, di circa 1500 metri quadri, con un grande parco recintato, con fagiani, galli cedroni, fenicotteri rosa. Una volta c'erano anche i daini. E una gabbia con le pantere.
In cantina c'é la Jacuzzi, l'acquario di pesci tropicali, la sauna, la cantina di vini pregiati del figlio, il caveau blindato.
Per non parlare del parco macchine: suo figlio Andrea la Mercedes 300 e lo scooterone Honda, suo figlio Giacomo la Porsche Carrera cabrio e la Bmw K100 oltre ad una Range Rover per le gare di autocross.
Lui, Vincenzo, girava con la Mercedes 600, la moglie con una Bmw 318 familiare.
E infine il personale di servizio. C'era un maggiordomo in livrea che serviva il the su vassoi d'argento e in guanti bianchi. E cinque fra cameriere e stiratrici".
A raccontare é Roberto Assirelli, testimone contro Muccioli al processo per il delitto Maranzano. Ha lavorato tredici anni a SanPa dove é entrato come tossico e ne é uscito guarito: oggi é assessore PDS al bilancio e alla cultura al comune di Coriano.
A onor del vero va precisato che Muccioli aveva regalato tutti i beni immobili di appartenenza della comunità alla Fondazione S. Patrignano, nata sul finire del 1985, qualche mese dopo la sua condanna nel 6/2/85 per gli incatenamenti e prima dell'assoluzione in appello il 28/11/87.
Col trucco, però, niente paura.
L'art. 11 dello statuto recita: "Se entro tre anni dal riconoscimento della personalità giuridica (cioè entro il 26 marzo 1994), il patrimonio della fondazione supera la soglia dei quattro miliardi la casa potrà ritornare di proprietà dei figli se ne faranno richiesta entro il 2001. Richiesta da inoltrare al Presidente della Fondazione", cioè ¼ Muccioli stesso! (per la cronaca, alla fine degli anni '90 San Patrignano é valutato oltre 30 miliardi di lire).
E i macchinari, i beni mobili, i famosissimi cavalli, di chi sono?
Già, i cavalli. Per loro Vincenzo non ha mai badato a spese: si dice che Wejawey sia stato acquistato per due miliardi e trecento milioni mentre Kassandra per soli due miliardi.
Roberto Assirelli durante il processo ha raccontato che per acquistare purosangue veniva spedito in giro per l'Europa, con i soldi nascosti in un doppio fondo delle auto che venivano all'uopo preparate per la comunità in un autosalone di Milano.
Ma che c'entra questo con il recupero dei tossicodipendenti?
La Ricetta dell'Amore
Siamo nel ‘79 quando ai carabinieri arriva un ritaglio di giornale con su scritto: "Sono prigioniero di queste persone. Telefonate alla polizia o ai carabinieri. Ho già avuto 7 collassi e sto malissimo".
Il ventisettenne Paolo Morosini, sottoposto a cura intensiva di disintossicazione, era stato imprigionato da quattro giorni. La vicenda non ha comunque un seguito perché Muccioli si discolperà affermando "i drogati sono gente capace di intendere ma non di volere".
Non va a finire allo stesso modo, invece, in un'altra occasione: il 28 ottobre 1980 una ragazza di ventitré anni, Maria Rosa Cesarini, si presenta alla squadra mobile di Forlì raccontando di essere fuggita da S. Patrignano dopo essere stata rinchiusa per sedici giorni in una piccionaia.
Quando i poliziotti irrompono nella comunità, trovano Luciano Rubini e Leonardo Biagiotti incatenati in due locali usati come canile, Marco Marcello Costi incatenato alla porta in ferro di un locale di tre metri per uno e Massimo Sola incatenato ad un manufatto adibito a colombaia.
Tutte queste persone deporranno qualche giorno dopo; tutte tranne una, Leonardo Biagiotti, trovato morto sulla linea ferroviaria a Castelfranco Emilia, diretto a Milano, caduto misteriosamente dal treno.
Vincenzo Muccioli viene arrestato con alcuni suoi collaboratori e imprigionato per un mese; il processo verrà tenuto quattro anni più tardi e finirà con una condanna a venti mesi per Muccioli in primo grado e assoluzione in appello.
Ma veniamo alle testimonianze di quelli che hanno deposto all'altro ben più grave processo che ha investito Muccioli: quello per l'omicidio di Roberto Maranzano, assassinato nella porcilaia della comunità.
A rispondere é Claudio Ghira, ex-medico di S. Patrignano:
Cosa succedeva alla manutenzione?
"Pestaggi e cure successive. Ricordo una testa spaccata e ricucita con una ventina di punti. E una milza esplosa a pugni".
Ci sono stati altri morti oltre a Maranzano?
No, in quel modo no.
In altri modi?
"Molti dei suicidi della comunità sono quantomeno sospetti".
Si poteva entrare al reparto manutenzione?
"No. Ci sono due medici presenti 24 ore su 24. E poi Capogreco, il responsabile del reparto".
Ma che medici sono se non denunciano questi metodi?
"Credono in Muccioli. Se sei dentro é perché gli credi"
I rapporti sessuali sono controllati da Muccioli?
"Certo, ma nessuno controlla i suoi. Eppure quante volte lo abbiamo visto a letto con i ragazzi più giovani? Per molti di noi, però, almeno fino a quando non si riesce a passare dalla fase acritica, anche quello viene visto come un modo per stare vicino ad una persona che sta male".
Parli di rapporti omosessuali forzati?
"So di un ragazzo milanese che sicuramente ha visto i suoi problemi aumentare proprio per le eccessive attenzioni del babbo. Il capo amava soprattutto avere rapporti orali. Diceva che anche quelli servivano per far passare energia positiva da lui ai suoi discepoli".
Voci? Leggende di S. Patrignano?
"No, io stesso ho visto Muccioli a letto con uno dei suoi ragazzi"
E dov'é oggi?
"E' morto di Aids".
Ma il principale accusatore di Muccioli é, in questo processo, il carceriere Raimondo Crivellin in comunità noto come Piedini. Ha confessato oltre 500 sequestri di persona compiuti in sette anni di permanenza nella comunità, pestaggi, inseguimenti; alla fine deporrà per quasi cinque ore. "Tutti i giorni inseguivo tossici che scappavano da S. Patrignano. Tutti i giorni ne riportavo. Tutti i giorni ne picchiavo. Tutti i giorni ne rinchiudevo, soprattutto nella cassaforte della pellicceria. Un luogo angusto, senza finestre. Per ogni nuovo ospite Michelone cambiava combinazione alla cassaforte. Ho passato sette anni a S. Patrignano e il mio compito é sempre stato quello. Non sapevo mai la ragione di una punizione: eseguivo ordini di Muccioli".
Piedini agiva insieme a Franchino e Toto, Paro-Paro e Sebastiano, tutti nella squadra punitiva. "Bastava che ci dirigessimo verso qualcuno perché il terrore gli si dipingesse sul viso. Muccioli sa come far sentire importanti, soprattutto le menti semplici. Ha scelto me perché ero un cretino. Ho creduto in Muccioli ciecamente. E ho sbagliato".
E a proposito di un suicidio
"Dopo il primo suicidio, quello di Gabriele Di Paola, (gli altri furono quelli di Natalia Berla, il giorno seguente, e Fioralba Petrucci avvenuto di lì a breve) Muccioli mi ordinò di portare via i venti ospiti della manutenzione, il carcere della comunità. Di notte con due furgoni e qualche macchina insieme a Toto, Paro-Paro, Sebastiano e Franchino partimmo per la comunità di Botticella (é una comunità satellite di SanPa, ndr). L'obiettivo era far scomparire testimoni scomodi in un periodo in cui la comunità era tenuta d'occhio dalla polizia. Passammo due mesi vivendo da re".
E interrogato sul perché dei sospetti sul suicidio: "Io l'ho visto cadere, ma non so come ha fatto a precipitare per venti metri con la faccia rivolta verso il muro. L'ho sentito gridare “No, no”, ho visto che cercava di aggrapparsi a qualcosa, senza riuscirci. Quando sono corso verso di lui era morto. Il giorno dopo Natalia Berla é scivolata fuori da un finestrino piccolissimo, ma noi eravamo già in montagna a divertirci".
E ancora: "Una volta ho chiuso anche Franco Capogreco in cassaforte. Ha urlato tutta la notte perché soffre di claustrofobia. Quando é uscito era cianotico. Andava punito, ma non lo so perché. Lo dirà lui ai giudici » . Poi é il turno di Paro-Paro, Marco Ghezzo: « Da S. Patrignano sono scappate migliaia di persone. Sono molti di più quelli che scappano che quelli guariti. Lui i guariti li conta ogni volta che escono. Se uno entra tre volte ed esce tre volte vale per tre guarigioni".
Per finire la testimonianza di una ragazza, Elisabetta Di Giovanni che entrò nella comunità per la prima volta a sedici anni e che é uscita dalla droga solo molto tempo dopo aver lasciato S. Patrignano, con l'aiuto di Don Gino Sacchetti.
"Durante la mia seconda permanenza a SanPa in due anni visitai quasi tutti i luoghi di prigionia. Venti giorni in piccionaia, un luogo circolare molto angusto, dipinto di arancione e in discesa, dove ti sentivi letteralmente impazzire. Due mesi al buio nella cassaforte della pellicceria insieme ad un dobermann malato. In un vecchio casolare abbandonato sdraiata e incatenata con tutte e due le braccia alla spalliera del letto.
Mi veniva liberato un braccio due volte al giorno per mangiare, mentre per i bisogni fisiologici bastava un secchio sotto il letto. Una chiusura un po' più soft invece (quattro mesi in camera), la affrontai a causa di Marco Rossetti di Bologna. Malauguratamente chiedemmo a Muccioli il permesso di conoscerci.
Dopo qualche mese di mano nella mano, non ne potevamo più e consumammo il turpe gesto.
Marco, pentito, corse a raccontarlo al babbo e il risultato per me fu la chiusura dopo un'infinita serie di “gran puttana” in tutte le salse.
A lui Vincenzo diede una pacca sulla spalla.
Ma la chiusura più terribile, per quanto la più breve, fu una settimana nella botte.
Si, un tino vero e proprio, di ferro, dove potevi stare accovacciata e dove una volta al giorno ti passavano il cibo da uno sportellino, il tutto ad un palmo dal solito secchio con gli escrementi. Non avevo ucciso nessuno, ma ben più grave era la mia colpa: ero entrata nella contestazione.
Vincenzo aveva rinchiuso, sempre per futili motivi, tre ragazze considerate da tutti ed anche da lui stesso fino a qualche giorno prima, guarite. Consuelo, Martina ed Alice, anche loro contestatarie.
Le aveva rinchiuse in un casolare e siccome non soffrivano abbastanza, dopo qualche giorno sospese loro i viveri. Era terribile passare da quel capannone e sentire tutto il giorno le povere tre cantare.
Mi sentivo ad Auschwitz. Dopo qualche giorno fece portare Alice, la più fragile delle tre, leggermente handicappata, sul piazzale e, con una macchinetta, le rasò i capelli, tra battute deplorevoli e risate grasse. Alice di Roma riuscì a scappare e la ritrovarono l'indomani morta per overdose in Piazza Tre Martiri. Criticai pesantemente l'operato del mio padre-padrone che mi fece rinchiudere nella botte.
E' difficile parlare di SanPa. Ci sarebbe troppo e ancora troppo da dire: mille episodi, tutti eloquenti e dolorosi, ma il vero problema é che lo Stato italiano consideri recupero dei tossicodipendenti quello che avviene a S. Patrignano.
Alfio Russo? L'ho conosciuto e sarei pronta a giurare che le cose siano andate pressappoco così. Maranzano con le sue fughe rompeva, e Vincenzo ha deciso di metterlo nel settore punitivo: nelle mani di quel pazzo violento, col cervello di un bambino di due anni. Sicuramente ha anche raccomandato ad Alfio di essere particolarmente duro e di farlo scoppiare per bene. Alfio felice, non se lo sarà fatto ripetere due volte e per il povero Maranzano si devono essere aperte le porte dell'inferno.
Poi, forse una reazione, anche debole, minima, ed Alfio ha dato sfogo alla sua furia. Poi succede l'irreparabile e via di corsa dal capo a cercare la soluzione. Soluzione che Vincenzo, scommetto senza scaldarsi più di tanto, ha trovato nella discarica.
E' impossibile, per chi é stato a S. Patrignano credere che Vincenzo non fosse al corrente di tutto".
Fonte: SIMS Studio Intervento Malattie Sociali